Buongiorno lettrici e lettori, nella Giornata della Memoria vi propongo la recensione di un libro per non dimenticare. Quest'anno, dopo diverso tempo, ho deciso di recuperare un romanzo-testimonianza di una delle voci che hanno vissuto in prima persona la barbarie e la ferocia di un uomo. Ecco, un uomo, uno solo, che è riuscito a manipolare le menti di un'intera nazione.
Questo è un libro che commuove ed emoziona, un libro che fa male!
Sono stato un numero
Alberto Sed racconta
Roberto Riccardi
Editore: La Giuntina - Genere: Letteratura Italiana
Pagine: 165 - Prezzo: 15,00 € - eBook: 6,99€
Questo libro racconta la vita di Alberto Sed dalla nascita ai giorni nostri. Rimasto orfano di padre da bambino, Alberto è stato per anni in collegio. Le leggi razziali del 1938 gli hanno impedito di proseguire gli studi. Il 16 ottobre 1943 è sfuggito alla retata effettuata nel ghetto di Roma. È stato catturato in seguito, insieme alla madre e alle sorelle Angelica, Fatina ed Emma. Dopo il transito da Fossoli, la famiglia è giunta ad Auschwitz su un carro bestiame. Emma e la madre, giudicate inabili al lavoro nella selezione condotta all'arrivo, sono finite subito nella camera a gas. Angelica, un mese prima della fine della guerra, è stata sbranata dai cani per il divertimento delle SS. Solo Fatina è tornata, segnata da ferite profonde: ha assistito alla fine terribile di Angelica ed è stata sottoposta agli esperimenti del dottor Mengele. Alberto è sopravvissuto a varie selezioni, alla fame, alle torture, all'inverno, alle marce della morte. Ha partecipato per un pezzo di pane ad incontri di pugilato fra prigionieri organizzati la domenica per un pubblico di SS con le loro donne. Dopo essere scampato a un bombardamento, è stato liberato a Dora nell'aprile 1945. Tornato a Roma, superate le difficoltà di reinserimento, ha iniziato a lavorare nel commercio dei metalli e si è sposato. Ha tre figlie, sette nipoti e tre pronipoti.
"Se il male avesse una casa, potremmo sbarrarne le porte per non lasciarlo uscire. Vi metteremmo a guardia il più grande fra i custodi e staremmo a osservarla, dall'esterno, con l'animo sereno. Se potessimo tenere il dolore rinchiuso in una scatola, la sua chiave non lascerebbe le nostre mani, e il tempo sarebbe una strada da percorrere senza timore, i pugni serrati e il viso fiero. Ma il male, il dolore, non hanno confini. Pensare di poterli circoscrivere è come progettare un recinto per l'oceano."
Mi sono accostata a questa lettura in punta di piedi, pronta a ricevere quel colpo che, ero sicura, sarebbe arrivato preciso e diretto, senza mezzi termini. Nonostante la guardia alta, ogni volta che mi imbatto in romanzi-testimonianza di una delle pagine più crudeli ed efferate della storia finisco al tappeto. Il cuore in frantumi e l'anima straziata dalla descrizione di tanto dolore.
Questo è un romanzo che fa male, le pagine sono intrise dei sentimenti più disparati, terrore, angoscia, dolore, vergogna, umiliazione, speranza, amore, rinascita, le singole parole sono stilettate, profonde e pungenti.
A-5491, può un numero, un tatuaggio, cancellare l'identità di un uomo? Il suo nome? Il suo passato? la sua dignità? È proprio questo che, invece, attraverso le pagine del romanzo, viene restituito al lettore. A ciò si accompagnano le voci e le storie di tutte quelle persone, esseri umani, ricordiamolo, che non conosceremo mai, volate vie a migliaia attraverso le ciminiere dei forni crematori.
'Sono stato un numero' è un viaggio commovente ed emozionante che racconta la storia del giovane Alberto Sed, un bambino cresciuto troppo in fretta, un bambino il cui mondo, improvvisamente, cade in pezzi, in nome di quelle leggi razziali, senza fondamento, secondo le quali "...quelli come lui non possono più stare con gli altri...".
Un bambino che, come lo stesso protagonista dice, non è più tale, ma è diventato un ebreo. Una parola alla quale si accompagna una sola azione, quella di nascondersi e, insieme a questa il sentimento di vergogna ed umiliazione. L'unica certezza: non aver commesso nulla di male se non, semplicemente, essere nato.
"Sbaglia chi pensa di non correre pericoli, di non avere niente da perdere. Ciascuno di noi ha tesori preziosi come la dignità, i sentimenti, il rispetto di sé. Prima ancora, la vita. Vi sembra poco?"
Uno stile semplice, ma diretto, per ripercorrere la vita di Alberto, dalla nascita alla deportazione. Conosceremo la figura paterna, un uomo buono con la serietà propria degli uomini di una volta, reso severo dal carattere vivace e scatenato del figlio. Dall'altra parte la madre, protettiva e premurosa con i figli, generosa e disponibile con tutti. Una donna che, alla morte del marito, è costretta a mandare in collegio lo stesso Alberto e la figlia maggiore Angelica, colei che costituisce il legame con un passato fatto di giochi, infanzia e nostalgia per la mamma e le altre due sorelle tanto amate ma che vedeva raramente.
Con un susseguirsi di capitoli, in un crescendo di dolore e di tensione, lo stesso protagonista racconterà l'esperienza della deportazione; il viaggio sul treno merci, i cui vagoni puzzavano di escrementi e morte; la speranza dipinta sui volti all'arrivo a destinazione, qualche sorriso, la possibilità di cominciare una nuova vita ad Auschwitz, un luogo sul quale, a detta di molti, non si era mai parlato e che per questo non poteva essere tanto terribile.
Il lager visto come negazione di qualsiasi diritto, della libertà, della sicurezza e del rispetto della persona che pure ogni essere umano si conquista alla nascita.
Sono rimasta impressionata dal racconto di Alberto, dalla sua storia e da come questa si intrecci alle storie di tutti quelli che ha incontrato durante il suo cammino, da come, dalla sofferenza, siano sbocciati bellissimi rapporti di amicizia e, in alcuni casi, di devozione reciproca. Impossibile ed impensabile non provare tenerezza per questo uomo che, a posteriori, rimette insieme tutti i tasselli della propria vita con una serie di parallelismi, tra presente e passato, fino al momento della liberazione, al ritorno alla vita. Ecco, un ritorno alla vita fortemente condizionato da quello che è stato. Si resta prigionieri dell'anima, incapaci di compiere anche le azioni più semplici senza ricordare eventi traumatici. Si parla, si racconta, ma chi non ha vissuto l'esperienza sulla propria pelle non può comprendere fino in fondo.
Tuttavia, questo è un romanzo che racchiude in sé la speranza. Alberto è un combattente, un uomo dal carattere forte che ci insegna come dalla sofferenza possa nascere un tale sentimento, di come il suo cuore desertico si sia predisposto a diventare prato per lasciar attecchire il seme dell'amore, ed è proprio sull'amore che ha fondato la sua vita. Alberto è un sopravvissuto che ha scelto l'amore che costruisce piuttosto che l'odio che distrugge.
Accanto alla speranza, poi, la riflessione attraverso una serie di domande poste al lettore, con l'intento di stabilire una sorta di dialogo, di connessione ancora più profonda. Una in particolare continua a ronzarmi nella mente ed è anche quella che rivolgo a voi: "...Hitler non si è fermato da solo per l'orrore di ciò che stava facendo, è stato bloccato con le armi. Dove si sarebbe spinto se la storia avesse avuto un corso differente? Con chi se la sarebbe presa, se gli avesse arriso la vittoria? Quanti altri milioni di vittime avrebbe mietuto il suo delirio di onnipotenza?"
Non dimenticatelo mai, non solo oggi, ma ogni giorno: nessuno di loro, umiliato, marchiato, percosso, sottoposto a violenze fisiche e psicologiche, ha mai smesso di essere un uomo.