Portato in Italia lo scorso ottobre dalla casa editrice NN Editore, nella traduzione della bravissima Silvia Castoldi, Il riflesso del passato, opera prima dello scrittore americano, può essere considerato il romanzo da cui prende le mosse il modus operandi, o per meglio dire narrandi, che rappresenta la cifra stilistica e strutturale tipica della narrazione di Dan Chaon.
Spazialmente, la vicenda si sviluppa nel South Dakota, a pochi chilometri dalla cittadina di Little Bow, in una casa di campagna giallo senape, per poi raggiungere la periferia nord della cittadina di St. Bonaventure in Nebraska. Temporalmente parlando, invece, copre un arco narrativo che si estende dagli anni '70 agli anni '90 del Novecento.
È il 24 marzo del 1977 quando Jonah Doyle, un bambino di sei anni, di ritorno da scuola, viene aggredito dal cane di famiglia. Morto per un brevissimo lasso di tempo, e sfigurato nel fisico e nell'animo, il piccolo Jonah, riportato in vita come per miracolo dai soccorritori, si ritroverà a pensare, nel corso degli anni, che quello sia stato l'evento centrale di tutta la sua esistenza, quello che ha messo in moto il suo futuro e ne ha condizionato anche le scelte. È il 1993 quando quello stesso Jonah, ormai ventiduenne, decide di tagliare i ponti con quel che resta del suo passato, recidere i legami con una madre anaffettiva ormai passata a miglior vita, e partire alla ricerca del fratello, sperando di poter ricomporre i pezzi della propria vita e sentirsi finalmente parte di una famiglia.
Quello stesso fratello che, grazie allo stratagemma delle diverse inquadrature cinematografiche, costantemente presenti nel corso della narrazione, proprio mentre i soccorritori riportano in vita Jonah, vediamo condurre la propria esistenza altrove. Troy Timmens ha dieci anni, anagraficamente parlando, ma è diverso dalla maggior parte dei bambini della sua età. Definito un adolescente onorario, un'anima saggia e per nulla infantile, Troy nasconde, tra le pieghe del suo passato, una verità a cui non pensa molto spesso e di cui, conseguentemente non parla perché la ritiene una faccenda personale, ovvero l'essere stato adottato. I suoi genitori glielo avevano spiegato sin da piccolo e gli avevano insegnato che non aveva nessuna rilevanza e che lui non era affatto diverso dagli altri.
Lo stesso Troy che ritroviamo nel 1996 in libertà vigilata, divorziato e incapace di poter crescere suo figlio Loomis che è stato affidato alle cure della nonna materna.
Se nel passato il denominatore comune dei due fratelli è rappresentato dalla evanescente figura materna, Nora, un personaggio su cui l'autore si sofferma spesso e volentieri, dedicandogli anche un intero capitolo in chiusura, e che, nonostante sia un po' l'emblema del fallimento dell'essere umano, o forse proprio per questo, ho personalmente trovato di una bellezza disarmante, nel presente è invece rappresentato da Loomis. La sparizione improvvisa del bambino, ed è qui che il romanzo si tinge di giallo, diventa il focus centrale di tutta la narrazione, quello che metterà in moto una catena di eventi per certi versi più prevedibili rispetto a La volontà del male.
Troy e Jonah sono due facce di una stessa medaglia con il primo così radicato nella storia della sua vita da non avere il coraggio di svincolarsi, e il secondo che prova vergogna del pietoso scheletro di bugie che invece è la propria. Diciamocelo chiaramente, tra i due quello che domina la scena è sicuramente Jonah con il suo volersi proiettare nelle vite degli altri, il suo voler trovare un posto nel mondo conquistandosi la fiducia altrui, lettore compreso, surclassato da quel bisogno di accettazione che è un po' il chiodo fisso della sua intera esistenza. Ed è proprio questo bisogno di essere accettati una delle tematiche fondanti de Il riflesso del passato, assieme alla ricerca di se stessi, del proprio io e di come l'echeggiare di quello stesso passato di cui si parla nel titolo del romanzo, si ripercuota su quello che siamo e diventiamo.
Con un solido background di fondo, che costituisce il bandolo della matassa da cui partire, Dan Chaon inizia a tessere, con abile mano, una storia all'apparenza abbastanza lineare ma che, pagina dopo pagina richiamerà la struttura labirintica a cui già siamo stati abituati.
Per farlo si servirà, ancora una volta, di una narrazione che si muove tra presente e passato, un alternarsi di storie e di punti di vista sempre diversi, apparentemente indipendenti, ma tutti interconnessi tra loro e tenuti insieme da un filo sotteso a quello che è il quadro generale.
I personaggi, quasi psicanalizzati dall'autore nel corso del racconto, sono anime rotte e solitarie chiamate a fare i conti con quello che resta delle proprie esistenze, a rimettere insieme i pezzi di un puzzle che diventa via via sempre più complesso ed ambiguo.
Con una scrittura magnetica e attenta ad ogni minimo dettaglio, un ritmo serrato che rimarca quel senso di angosciosa cupezza e inquietante instabilità a cui siamo stati abituati, Il riflesso del passato è un ottimo punto di partenza per il Dan Chaon più maturo che abbiamo già imparato a conoscere. Un romanzo che, ancora una volta, sa conquistare il lettore e che, contrariamente al precedente, mette un punto inequivocabile all'intera vicenda.
Nessun commento
Posta un commento