Secondo romanzo che leggo della Bosco, tornata in libreria per Garzanti all'inizio di ottobre. Ero rimasta piacevolmente colpita da Ci vediamo un giorno di questi, pubblicato qualche anno fa, tanto da decidere di riprovarci con quest'ultimo lavoro, attratta dalla bellissima copertina e da un titolo che lascia intuire già qualcosina.
Non perdiamoci di vista è uno spaccato quanto mai realistico di più generazioni a confronto, tra le quali però prevale, più di ogni altra, quella di chi è cresciuto negli anni '80 con "...un sacco di speranza negli occhi, la musica nelle orecchie e il desiderio di un amore che durasse per sempre..." e che si ritrova a fare i conti con sogni e tramonti mancati.
È la generazione di Betta, la protagonista, e della variegata combriccola di amici che, nel mezzo del cammino della loro vita, si ritrova a fare bilanci, con quella sensazione di essersi miseramente schiantati al suolo, perdenti, stanchi e falliti. Sono quelli che credono di poter ingannare lo scorrere del tempo, continuando a comportarsi come se avessero ancora tutta la vita davanti, ricorrendo a toy boy, palestre e ritocchini col botox.
Di contro altre due generazioni con cui fare i conti. Da un lato quella di Leontine, la mamma di Betta, una donna autoritaria e solida all'apparenza, ma dal cuore tenero, appartenente a quella schiera di donne e uomini che affronta i cambiamenti con naturalezza e autenticità, indossando rughe ed acciacchi con sorriso e accettazione.
Dall'altro, la generazione dei figli di Betta, Vittoria e Francesco, per nulla pronta ad accettare un no, incapace di considerare i propri genitori come figure di riferimento da imitare o quantomeno rispettare e più preoccupati dai social e dal numero dei like che persi con il naso per aria, a fantasticare del proprio futuro. Una nuova generazione altamente tecnologica ed intuitiva, sì, ma dal cuore fragile e delicato.