mercoledì 30 dicembre 2020

Un anno se ne va...

 
Eccoci giunti a quello che ormai, nonostante la mia latitanza dalla blogosfera, è diventato un vero e proprio appuntamento fisso. Siamo alla fine di questo 2020 in cui, un po' tutti, avevamo riposto grandi aspettative, in ottemperanza a quel detto secondo cui "dopo una fine, c'è sempre un nuovo inizio".
Ecco, il nuovo anno, almeno per me, ha sempre rappresentato una sorta di trampolino di lancio, il momento esatto in cui ogni cosa, che sia un sogno, un desiderio o un progetto, viene pervasa da quella linfa necessaria a renderla realizzabile. La maggior parte delle volte tutte le aspettative vengono disattese già a partire dai primi mesi, ma l'ebrezza di quel momento un po' magico, dove tutto è possibile, continua ad accompagnarmi, imperterrita, ad ogni nuovo inizio.
 
Sappiamo tutti che tipo di anno abbiamo e stiamo attraversando, con strascichi che, volenti o nolenti, si ripercuoteranno anche su quello a venire. Non è stato assolutamente facile gestire quello che ci stava capitando tutto d'un tratto e, per quel che mi riguarda, la cosa si è ripercossa su diversi aspetti della mia quotidianità.
Leggere è diventato un peso, piuttosto che un rifugio. Le parole per scrivere recensioni hanno preso direzioni opposte alla mia. A farmi compagnia un foglio bianco e un cursore che lampeggiava senza sosta. Mi sono persa e, devo ammetterlo, non ho ancora ritrovato la via maestra. Me ne sono accorta io e ve ne siete accorti anche voi. Babbo Natale direbbe che sono stata una lettrice cattiva quest'anno e che non merito assolutamente di ricevere libri. E come dargli torto!?

Conseguentemente questo 2020 sarebbe l'anno meno indicato per tirare le somme e fare bilanci in fatto di letture, eppure qualcosa c'è. Nonostante tutto sono riuscita ad individuare alcune letture del cuore, quelle che hanno segnato alcuni momenti del mio essere lettrice e che avranno sempre un posto speciale per me. Ve le riporto a seguire con un piccolo stralcio della mia recensione...


 "Quello che mi affascina grandemente di Genovesi è la sua capacità di raccontare storie, che pure ci riguardano, con genuinità, schiettezza, ironia e con una cura dei dettagli che non può che rendere felice il lettore. Attraverso il vissuto dei diversi personaggi, dalle sembianze estremamente umane, e gli accadimenti che ne minano il loro cammino, l'autore ci racconta cosa voglia dire credere in qualcosa. Al contempo è un romanzo di grande ispirazione, che insegna come "...i confini siano limiti inventati che ci strizzano e soffocano l'orizzonte davanti e dietro di noi...", che "...tra il possibile e l'impossibile c'è un confine sottile e finto, tracciato da noi stessi come le sbarre di una prigione all'interno della quale ci rinchiudiamo da soli..."."



 


"Tra separazioni e ricongiungimenti, affetti persi e ritrovati, la Ardone ci offre uno spaccato della difficile situazione dell'Italia del Dopoguerra. Ci racconta, magistralmente, dello sferragliare di un treno e della tristezza nella pancia; di esistenze che tutto d'un tratto si restringono per far ritorno ad una realtà in cui non ci si può sentire che fuori posto; dell'accoglienza e del sapore amaro che ha per entrambe le parti, sia per quelli che la danno, sia per quelli che la ricevono; di bambini spezzati in due metà che si chiedono se sia giusto provare la stessa dose di amore, fino a quel momento riversata sui propri familiari, per i membri delle famiglie ospitanti; di vite screpolate e fuori sincrono."