Buon giovedì lettori. Siamo giunti alla fine del mese e domani troverete il post dedicato al bilancio del mio giugno letterario. Intanto, oggi, ne approfitto per lasciarvi la mia opinione su una delle ultime letture: "Il colore del latte" di Nell Leyshon. Un romanzo forte ma che non ho apprezzato a pieno nonostante gli ottimi presupposti.
Il colore del latte
Nell Leyshon
Editore: Corbaccio - Genere: Letteratura Internazionale
Pagine: 182 - Prezzo: 9,90 € - eBook: 6,99€
Pagine: 182 - Prezzo: 9,90 € - eBook: 6,99€
È la primavera del 1831 quando Mary incomincia a scrivere la sua storia. Scrive lentamente, ci vorranno quattro stagioni perché racconti tutto. Ma non importa: scrivere è diventato un bisogno primario per lei, come mangiare e dormire. Viene da una famiglia di contadini, ha quindici anni, una gamba più corta dell'altra e i capelli chiari come il latte. Conosce solo la fatica del lavoro nei campi, proprio come sua madre, suo padre e le sue sorelle. Conosce solo il linguaggio della violenza, che il padre le infligge se non lavora abbastanza. Ma ha un cervello lucido e una lingua tagliente. Un giorno il padre la allontana di casa perché il vicario vuole una ragazza che accudisca la moglie malata. Mary non vuole abbandonare l'unica vita che conosce, ma non ha scelta. E nella nuova casa imparerà a scrivere, e scrivere rende liberi anche se la libertà ha un prezzo.
"...a volte ricordare è una buona cosa perché è la storia della tua vita e senza non rimarrebbe niente. ma altre volte la memoria conserva cose che vorresti non ricordare e non conta quanto sodo provi a tenerle fuori dalla tua mente loro tornano..."
Come detto, a narrare i fatti è la stessa protagonista, Mary, che compila una sorta di diario di sue memorie, scritto in prima persona e, soprattutto, di proprio pugno. Ciò emerge dallo stile e dal linguaggio sgrammaticato utilizzati per tutto il corso della lettura, un aspetto che colpisce e che personalmente non ho apprezzato e di cui non ho compreso la necessità. Ritengo che le basi per una storia avvincente ci fossero tutte, ma il voler mostrare quello che è l'analfabetismo di colei che scrive non fa altro che compromettere l'attenzione del lettore. L'uso del congiuntivo è alquanto discutibile. Il dover cercare spesso e non volentieri, soggetti predicati e complementi vari non aiuta assolutamente. Tra l'altro le frasi mancano di segni di interpunzione, laddove dovrebbero essere necessari per comprendere al meglio la differenza tra dialoghi e parti prettamente discorsive, così come le maiuscole successive ad un punto.
Questo è un vero peccato perché ritengo che un linguaggio più comprensibile avrebbe permesso di focalizzare l'attenzione su quello che, a mio parere, è l'aspetto più importante di un romanzo ovvero quello che è in grado di raccontare e di trasmettere al lettore. C'erano tutti i presupposti per una lettura coinvolgente, carica di sentimenti e ricca di spunti di riflessione.
Nonostante ciò, però, non si può non entrare in empatia con il personaggio di Mary, una ragazza arguta, dotata di una intelligenza innata e di una lingua affilata e tagliente. La sua è la voce di una giovane donna che non nasconde nulla, che non è in grado di mentire, trasparente e sincera. I suoi ragionamenti così precisi, lineari e veri lasciano spiazzati non solo le altre figure con le quali entrerà in contatto nel corso della sua vita, ma lo stesso lettore.
Il finale, facilmente prevedibile, non lascia scampo a quello che è il destino della protagonista.
Una lettura che è un fermo immagine di un'epoca passata e di tutte le brutture che l'hanno, volente o nolente, caratterizzata. Uno spaccato di una famiglia, della povertà e dell'ignoranza che regnavano sovrane.