giovedì 25 marzo 2021

Recensione 'Benedetto sia il padre' di Rosa Ventrella

Buongiorno lettori! Dopo un'eternità, eccomi di nuovo qui tra voi per parlarvi di una delle mie ultime letture. Si tratta dell'ultimo romanzo di Rosa Ventrella, pubblicato proprio la scorsa settimana dalla Mondadori (ringrazio sia l'autrice che la casa editrice per avermene inviato una copia!)

BENEDETTO SIA IL PADRE di Rosa Ventrella │ Editore: Mondadori │ Pagine: 231│ Prezzo: 18,00€

Ho conosciuto la Ventrella con il romanzo La malalegna e, benché non sia una lettrice che tende a fare paragoni tra le opere di uno stesso autore, ho trovato diverse similarità, vedi l'ambientazione e la struttura narrativa nel suo complesso, e differenze tra i due lavori.

Ancora una volta la voce narrante di Benedetto sia il padre è affidata ad una donna, Rosa, ed è il suo modo di raccontare che divide il romanzo strutturalmente in tre grandi sezioni: il presente, nei primi anni 2000, un passato più prossimo, a cavallo degli anni '80 e '90 che corrisponde al momento della narrazione che l'autrice ribattezza fuori dal limbo, ed un passato remoto, coincidente con gli anni '70, che è il vero e proprio limbo. Queste tre grandi suddivisioni temporali corrispondono ad altrettante fasce di età della protagonista: il passato remoto in cui ripercorre la sua infanzia e la storia della sua famiglia, il passato prossimo, in cui Rosa ha finalmente il coraggio di raccontarsi e aprire il suo cuore alla genitrice ed anche a sé stessa, mettendo in luce pensieri a lungo taciuti che la vedono muovere i primi passi in un mondo che le appare estraneo e ben lontano dal suo contesto e il presente, in cui la vediamo madre e moglie.

La narrazione, come è ovvio che sia, prende le mosse proprio dal presente. È il dicembre del 2002 quando Rosa riceve una telefonata da suo fratello Salvo. La loro madre ha avuto un ictus ed è necessario che la donna torni a Bari, sua città natia. Sarà proprio durante il lungo viaggio di ritorno che la protagonista inizierà a ripercorrere alcuni momenti della sua vita, ripensando a quel passato da cui aveva cercato di allontanarsi con tutte le sue forze e che non fa altro che richiamarla a sé.
È a questo punto che ha inizio una narrazione intima, introspettiva, a cui si accompagna anche un ritmo più lento, una sequela di pensieri in cui persino i dialoghi si fanno più radi, capace di riportare alla luce le emozioni, i sentimenti e i turbamenti che caratterizzano l'animo di ogni essere umano. La Ventrella in questo è molto brava perché riesce a dosare nelle giuste proporzioni la delicatezza e il riserbo a cui si contrappone l'asprezza e l'acume delle parole, che siano dette o taciute.

Ed è mentre ripercorre il suo passato che Rosa pone gli accenti su di sé e su molti dei protagonisti che, capitolo dopo capitolo, si mostreranno al lettore. Primo tra tutti Giuseppe, quel padre bellissimo, di una bellezza fiera che non si piega ad alcun altruismo e a nessuna indulgenza, amabile e irresistibile come solo le cose malvagie sanno essere. Un uomo insofferente nel cui animo alberga l'inestinguibile desiderio di altrove che lo porta sempre a lasciare incompiuta ogni cosa, che si tratti di una scelta o di un lavoro, e nella cui mente ha ben radicata la concezione secondo cui il rispetto passa attraverso l'autorità e la violenza. Giuseppe è il puntello attorno al quale ruota il destino della famiglia Abbinante, coi giorni tristi e i giorni grigi inanellati alle sue altalene umorali.
A fare da contrappeso Agata, la genitrice, bella e sfasciata. Una donna cha all'apparenza conduce due vite, una reale e l'altra sospesa, intrappolata nella dimensione del sogno, dove ogni cosa sembra aggiustarsi salvo poi incepparsi di nuovo e sprofondare nel carico di marciume della vita di tutti i giorni. Lo sguardo vuoto, appeso al nulla, il battito lento delle palpebre e quella sensazione che dentro di lei ci sia qualcosa di rotto, la rendono agli occhi della figlia una martire, incapace di togliersi di dosso quel dolore atavico che continua ad attanagliarle mente e cuore.
E per finire Rosa, un'anima tormentata e inquieta, la cui unica compagnia è il silenzio, perché ha imparato troppo presto che le parole sono inutili e non fanno altro che ferire come lame. Priva di autostima e bisognosa di certezze, tutta spigoli e ossa appuntite, Rosa inizia pian piano a scoprirsi donna. Il suo solo desiderio è quello di andare lontano, fuggire dall'atavica maledizione che schiaccia e accomuna le donne che le stanno intorno.

È su di lei che l'autrice compie un lavoro certosino, sondando il suo animo nelle profondità più recondite ed esplorando i pensieri più nascosti della sua psiche. Ed è proprio grazie al suo personaggio, ma non solo, che Benedetto sia il padre diventa un romanzo di formazione, di crescita ed evoluzione, ed il lettore questo aspetto lo avvertirà chiaramente, capitolo dopo capitolo, e soprattutto nei passaggi tra le varie sezioni, in quel tempo sospeso in cui diventa possibile, se non addirittura necessario, fare i conti con il proprio passato.

Con una scrittura quasi melodica, in cui all'italiano si frappongono i suoni delle espressioni dialettali tipiche della mia terra, tra case vecchie e stinte, sotto i panari sospesi ai balconi, tra le zaffate di marcio e le crepe dei basoli prende piede una storia di violenza, di rabbia soffocata, di silenzi e sguardi che valgono più di mille parole, come gli occhi di brace di Giuseppe o il sorriso sghembo di Agata. Una storia che sconquassa, che perturba, che rompe gli equilibri. Una storia che racconta di vite spezzate, carni intrecciate, anime affitisciute e sangue grezzo che si ripete, come una nenia, una sorta di maledizione che avvelena una generazione dietro l'altra. Una storia di silenzi, di coraggio, di riconciliazione con sé stessi e, soprattutto, di perdono.


2 commenti

  1. Proprio stamattina ho letto un articolo molto interessante su questo bel romanzo. La tua intensa recensione ne ha scandagliato l'animo travagliato e doloroso mettendo in luce i punti di forza di questa storia che mi incuriosisce molto.

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