lunedì 10 febbraio 2020

Recensione 'Quel che affidiamo al vento' di Laura Imai Messina


QUEL CHE AFFIDIAMO AL VENTO di Laura Imai Messina │ Editore: Piemme │ Pagine: 237 │ Prezzo: 17,50€


A nord-est del Giappone, nella Prefettura di Iwate, ai piedi di Kujira-yama, la Montagna della Balena, subito accanto alla città di Ōtsuchi, c'è una cabina telefonica bianca, con la porta pieghevole, all'interno della quale è posato un quaderno ed un vecchio telefono nero collegato al nulla. 
Il Telefono del Vento (in giapponese Kaze no Denwa) è stato installato da Sasaki Itaru nel giardino della propria abitazione, luogo che successivamente è stato ribattezzato Bell Gardia, nel lontano 2010, in seguito alla morte di un cugino con il quale desiderava restare in contatto, in una qualche maniera. 
Quel telefono, inizialmente concepito per alleviare il senso di perdita di un singolo individuo, è diventato poi il simbolo di uno dei luoghi più colpiti dallo tsunami del 2011, meta di pellegrinaggio per quanti sentano il bisogno di comunicare con i loro cari defunti, affidando le proprie voci al vento in una comunicazione a senso unico ma necessaria per affrontare il proprio dolore, stabilendo un contatto tra chi resta e chi non c'è più.

Ed è proprio traendo ispirazione da quegli avvenimenti luttuosi e da quegli stessi luoghi, in quello che può essere considerato a tutti gli effetti un omaggio per le vittime e per i sopravvissuti, che l'autrice tratteggia una storia delicata, capace di raccontare la speranza, il reimparare a stare al mondo, affrontando, come si legge nelle note finali, le sottrazioni che la vita ci impone e aprendoci, contestualmente, alle tante addizioni che essa stessa ci offre.

I protagonisti del romanzo sono diversi, o meglio lo sono le loro voci, pronte a raccontarsi al lettore private di ogni corazza o abbellimento. Sono storie tutte diverse ma con un denominatore comune, ognuna di queste persone sta affrontando un evento luttuoso, sta esorcizzando un dolore, che si tratti di mogli, di mariti, di figli, di padri o di madri.
Tra tutte queste voci, meravigliose per la loro unicità, ce ne sono due a cui si rivolge, nel particolare, l'attenzione del narratore, onnisciente, che servendosi di una serie di salti temporali, ricompone i tasselli necessari a raccontarne il loro vissuto e quell'incastro perfetto attraverso cui delineare le diverse sfaccettature. Queste voci sono quelle di Yui e Takeshi, la cui vita è stata sconvolta l'11 marzo del 2011. Lei, una giovane donna che ha perso madre e figlia, si ritrova a sguazzare nelle profondità dell'abisso che ormai sembra averla inghiottita. Lui, un giovane padre che ha perso la propria sposa, si ritrova a fare i conti con il mutismo di sua figlia Hana che, in seguito alla morte della genitrice, sembra incapace di storpiare parole, cantare motivetti dei cartoni animati o proferire assurdità con la convinzione tipica dei bambini della sua età.
Entrambi hanno imparato a contare i giorni in maniera dettagliata a partire proprio da quel tragico evento, accumulando il tempo che passa in una soffitta immaginaria, per un futuro utilizzo che chissà se sarebbe mai arrivato.

Yui e Takeshi si incontrano per caso sulla strada per Bell Gardia e si riconoscono per via di un minuscolo angolo di buio impresso sul viso di entrambi, "...uno spazio in cui chi sopravviveva, rinunciava ad ogni emozione, anche alla gioia, pur di non subire il dolore degli altri...". Da quel primo incontro, una volta al mese, raggiungeranno insieme il Telefono del Vento, convogliando nello sciabordio delle altre anche le loro voci.
Con lo scorrere del tempo, impareranno, l'uno dall'altra, che il domani non è un qualcosa che esiste per principio e che, pertanto, non è affatto una certezza assoluta; che la felicità nasce proprio da quell'oggetto pesante che recita in cerchio i numeri dall'1 allo 0; che il momento in cui si incontrano, via via, non apparirà più come il raccogliersi di due sconosciuti, bensì come un ritorno. Lui torna a lei e viceversa, in una piacevole e benefica abitudine.

Yui e Takeshi sono solo un piccolo esempio delle diverse figure che incontreremo strada facendo in quello che tra collisioni ed innesti di vite diventa, anche per il lettore, un vero e proprio viaggio di elaborazione e accettazione. Ed è proprio su tutti loro che si riversano le amorevoli cure dell'autrice. Sì, c'è una storia, anzi ce ne sono diverse, ma il lavoro e l'attenzione più grandi sono rivolti proprio al tratteggio delle loro peculiarità, soprattutto quelle psicologiche.
Si tratta di gente sgualcita dalla vita e fragile. Come giocattoli rotti, rimangono ai margini della folla, ai bordi della vita delle altre persone, in attesa di trovare il coraggio, lo scoglio a cui ancorarsi per tornare a vivere. Sono essere umani, in tutto e per tutto, e come tali, dunque, capaci di soffrire e amare.

Complice uno stile cristallino, semplice e delicato, senza il bisogno di ornamenti di ogni sorta, la Messina riesce, con lievi pennellate di colore, a raccontare la vita vera, quella che non fa sconti, il buio e l'oscurità che possono stringere in una morsa il cuore dell'essere umano, le paure delle proprie scelte e l'intimità dei rapporti intra ed interpersonali in quella che diventa, a tutti gli effetti, una storia di resilienza, coraggio e speranza.
Quel che affidiamo al vento è un romanzo che parla al cuore di ognuno di noi e ci insegna a tenerci stretta la gioia almeno quanto il dolore, ci suggerisce nuovi modi di stare al mondo dopo le avversità che la vita ci riserva perché "...sono proprio quelle crepe e quelle fragilità a decidere la storia di ognuno di noi, a far venire la voglia di andare avanti per vedere cosa potrebbe succedere poco più in là...".


1 commento

  1. L'ho visto spesso in giro, ma non mi ero mai soffermato sulla trama.
    Al solito, le tue belle parole sono un'aggiunta in più. :)

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