domenica 26 gennaio 2020

Recensione 'Il treno dei bambini' di Viola Ardone


Nel periodo successivo alla fine del Secondo conflitto mondiale, il cosiddetto Dopoguerra, la situazione dell'Italia tutta, ed in particolar modo del Meridione, risentì pesantemente degli strascichi della guerra. Tra fame, miseria, degrado e distruzione, molte famiglie del Sud non solo non avevano di che sopravvivere, ma non erano nemmeno in grado di garantire un futuro ai propri figli.
Con il sostegno del Partito Comunista e dell'Unione donne italiane, si diede vita ad una vera e propria rete di solidarietà il cui obiettivo era quello di far sì che i Bambini del Mezzogiorno venissero ospitati, durante il durissimo periodo invernale, dalle famiglie di artigiani e contadini del Settentrione in modo tale da provvedere al loro sostentamento, mentre le famiglie d'origine si riprendevano dai traumi della grande guerra. Secondo le fonti storiche furono migliaia i bambini che intrapresero questo viaggio su quelli che sono passati alla storia come i treni della felicità. Alcuni di loro tornarono a casa dopo l'inverno, altri dopo anni, altri ancora vennero addirittura adottati dalle famiglie ospitanti.


IL TRENO DEI BAMBINI di Viola Ardone │ Editore: Einaudi │ Pagine: 233 │ Prezzo: 17,50€


La Ardone prende spunto da questo avvenimento storico, molto poco conosciuto, facendone il suo punto di partenza verso orizzonti sconfinati come quelli che la vita, fatta di decisioni ed improvvisate, è in grado di offrire ad ognuno di noi. In questa maniera riesce ad imbastire la trama di un romanzo che è capace di affrontare diverse tematiche che abbracciano il concetto di genitorialità, di affezione, di appartenenza, di umanità e di solidarietà.

Per fare questo, si serve di un rione napoletano dei Quartieri Spagnoli, fatto di vicoli, chianche e bassi umidi e bui e di un protagonista semplice, genuino e curioso: Amerigo Speranza.
Amerigo ha solo sette anni, ma è uno di quei bambini cresciuti troppo in fretta in una città che non diventa mai adulta. Da sua madre Antonietta, una donna incapace di fare complimenti e consolare, una donna che non ha mai avuto carezze e non ne sa dare, abituata a guardare la vita sempre un po' di traverso con aria taciturna, ha ereditato il cognome, mentre del padre si sa solo che è partito all'America per fare fortuna. Ed è insieme a lei che cerca di combattere la fame e la povertà. Amante dei numeri ma non delle lettere, Amerigo, che tra i vicoli si è guadagnato il nome di Nobèl perché sa un sacco di cose, è uno di quelli che a scuola non ci è voluto più andare per imparare in mezzo alla via. Va girando, sente le storie, si fa i fatti degli altri e raccoglie le pezze, ovvero stracci, scarti, vestiti usati dei soldati americani, roba sporca e piena di pulci che Antonietta pulisce, strofina e ricuce per darle a Capa 'e fierro che le rivende sul banco a piazza Mercato.
Una mattina d'autunno, insieme a Mariuccia e Tommasino, anche Amerigo salirà su uno di quei treni diretti nell'Alta Italia. Contrariamente a quanto gli era stato detto, e cioè che si sarebbe ritrovato in Russia dove, privato di mani e piedi, sarebbe stato gettato nei forni e mangiato dai comunisti, Amerigo raggiungerà la nebbiosa campagna modenese e un'allargata e premurosa famiglia ospitante.

Tra separazioni e ricongiungimenti, affetti persi e ritrovati, la Ardone ci offre uno spaccato della difficile situazione dell'Italia del Dopoguerra. Ci racconta, magistralmente, dello sferragliare di un treno e della tristezza nella pancia; di esistenze che tutto d'un tratto si restringono per far ritorno ad una realtà in cui non ci si può sentire che fuori posto; dell'accoglienza e del sapore amaro che ha per entrambe le parti, sia per quelli che la danno, sia per quelli che la ricevono; di bambini spezzati in due metà che si chiedono se sia giusto provare la stessa dose di amore, fino a quel momento riversata sui propri familiari, per i membri delle famiglie ospitanti; di vite screpolate e fuori sincrono.

Il treno dei bambini è un romanzo molto intenso che, da un punto di vista strutturale, può essere ripartito in due sezioni che hanno sempre come protagonista Amerigo, ma in diversi stadi d'età e in diversi archi temporali. 
La prima parte è quella che vede la narrazione affidata alla voce del protagonista bambino che, attraverso il suo sguardo vispo e attento, racconta la vita prima nel rione napoletano e poi nella pianura emiliana, arricchendola di aneddoti e descrizioni particolareggiate di luoghi e personaggi. Amerigo va, torna, forse riparte, forse resta. 
La seconda, invece, è ambientata nella prima metà degli anni '90 e ha come narratore un Amerigo che ormai è un uomo di mezza età. È questa la parte più delicata e toccante, quella in cui la narrazione, che ha assunto le tinte tipiche del romanzo di formazione, si piega alle nuove esigenze del protagonista che viene chiamato a percorrere un viaggio a ritroso, inerpicandosi tra i vicoli e gli attimi della propria vita per riconciliarsi con un passato ormai lontano, sciogliere i nodi delle proprie inquietudini e imparare a perdonare e a perdonarsi, con sguardo diverso e maggiore consapevolezza.

Nonostante un salto temporale di circa cinquant'anni, il lettore non ha l'impressione di aver perso pezzi di storia, anzi. L'autrice adotta uno stratagemma narrativo tale per cui, attraverso le riflessioni dell'Amerigo adulto, viene messo a parte di quanto avvenuto nell'arco temporale mancante.
Tuttavia, l'aspetto che più conquista è la scelta dell'autrice di affidare la narrazione di tutta la prima parte alla voce di un bambino. Per farlo si serve di un registro narrativo ricco di sbavature, sgrammaticato, pregno di inflessioni dialettali e quasi piegato alle esigenze stilistiche di un bambino di basso ceto sociale, stile che poi diventa colto e corretto, tipico di una persona istruita e riscattatasi da quel contesto di povertà, nella sua versione di adulto.

Ancora, nel testo sono presenti piccoli accorgimenti e figure retoriche che rendono manifesta l'attenzione che è stata posta nei confronti della costruzione del narrato. In primis i cognomi parlanti, Speranza per Amerigo, il bambino che parte e che sogna un futuro diverso magari di riscatto, di risollevamento, di speranza appunto, e Benvenuti per la famiglia ospitante, a rimarcare il concetto di accoglienza e solidarietà.
Infine le scarpe. Amerigo alla sua primissima apparizione si presenta al lettore così: "Guardo le scarpe della gente. Scarpa sana: un punto; scarpa bucata: perdo un punto. Senza scarpe: zero punti. Scarpe nuove: stella premio. Io scarpe mie non ne ho avute mai, porto quelle degli altri e mi fanno sempre male. Mia mamma dice che cammino storto. Non è colpa mia. Sono le scarpe degli altri. Hanno la forma dei piedi che le hanno usate prima di me. Hanno pigliato altre abitudini loro, hanno fatto altre strade, altri giochi. E quando arrivano a me, che ne sanno di come cammino io e di dove voglio andare?"
Ed ecco che proprio quelle scarpe,  che spesso e volentieri ritorneranno nei capitoli successivi, diventano metafora del viaggio condotto dal protagonista stesso, un file rouge che descrive il cammino impervio, fatto di difficoltà e scelte dolorose, il cui simbolo sono proprio le scarpe strette e scomode, quelle degli altri, che vengono finalmente sistemate da un ciabattino solo nella fase adulta, quella in cui un Amerigo spensierato si riconcilia con sé stesso e col proprio passato perché "...i piedi sono tutti diversi, ognuno tiene la sua forma, bisogna saperla assecondare. Sennò è una sofferenza continua...".

Il treno dei bambini è un romanzo straordinario, commovente, intimo, emozionante. Per quel che mi riguarda, una delle migliori letture di questo nuovo anno, appena iniziato. Con lievi pennellate e grande maestria, la Ardone tratteggia un romanzo di una bellezza disarmante. Un romanzo che, pur raccontando un episodio apparentemente lontano nel tempo, è purtroppo ancora molto attuale, a dimostrazione che sì, i tempi cambiano, eppure noi, come genere umano, restiamo sempre un passo indietro.

5 commenti

  1. Non amo molto i romanzi sul tema, però questo sembra essere speciale, come le tue parole. Segno, nonostante le mie personali riserve.

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  2. Sono molto in linea con quanto scritto da Michele. In più c'è l'aggravante che è ambientato a Napoli. Mi sa che segno anche io.

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  3. Sembra davvero una gran bella lettura! Vedrò di recuperarlo ☺️☺️☺️

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  4. questo argomento è sempre intenso per me, devo dosarlo nei momenti in cui sono predisposta. Dalle tue parole però sembra proprio un libri da non perdere

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  5. Lettura bella,scorrevole che racconta una storia del nostro dopoguerra,sconosciuta quasi a tutti.
    Bellissimo lo consiglio

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