1963, nel mese di dicembre ha inizio quello che è conosciuto ai più come il Processo di Francoforte Auschwitz. Conclusosi poi, nell'agosto del 1965, rappresentò il più grande procedimento giudiziario nella storia tedesca e fu anche il primo a svolgersi dinanzi ad una corte che avrebbe valutato i crimini dell'Olocausto, sensibilizzando l'opinione pubblica nei confronti dei reati del nazismo perpetrati contro gli ebrei e le altre popolazioni perseguitate.
Ventidue gli imputati accusati delle atrocità commesse nel campo di concentramento di Auschwitz, tra il 1940 e il 1945, fra cui diversi membri della Gestapo e personale medico. Oltre 350 i testimoni chiamati a deporre. Milioni gli echi delle voci delle vittime.
È partendo da questo evento storico tanto importante, che costituisce il filo conduttore delle diverse parti che vanno a costituire il romanzo nella sua totalità, che la Hess imbastisce un narrato dalla trama solida e più che plausibile, in cui verità storiche e vicende personali, ed intime, della protagonista si intrecciano alla perfezione, in un continuum di avvenimenti che tengono il lettore ancorato ad una storia potente e reale nella sua disumanità.
L'interprete a cui si fa riferimento già nel titolo del romanzo è la tedesca Eva Bruhns. Traduttrice dal polacco, Eva, che fino a quel momento si è occupata solo ed esclusivamente di cause legali per risarcimento danni, contratti e faccende economiche, viene chiamata in tutta fretta per una traduzione, dato che un problema con il visto non ha permesso all'interprete incaricato di essere presente.
È a questo punto che la giovane protagonista entra in contatto con una realtà inimmaginabile. Josef Gabor, l'anziano polacco a cui deve fare da interprete, inizia a parlare di prigionieri asfissiati dal gas, baracche e campi di reclusione.
Turbata dall'avvenimento e completamente ignara di fatti tanto gravi appartenenti ad una delle pagine più crudeli della storia tedesca, Eva, contro il volere dei familiari e del fidanzato, accetta l'incarico di traduttrice ufficiale dal polacco, che la vedrà in prima linea al banco dei testimoni durante il processo di Francoforte.
Ha inizio così il racconto lucido ed efficace di quelle che possono essere considerate, a tutti gli effetti, delle verità disturbanti. La Hess non solo riesce a sviscerare con grande maestria delle tematiche tanto delicate, che hanno come focus principale la relazione tra i cittadini tedeschi e quanto avvenuto sotto l'egida del nazismo durante il Secondo Conflitto Mondiale, ma correda di un peso specifico i diversi sentimenti che albergano l'animo delle persone coinvolte. L'estraneità iniziale lascia il passo allo sgomento e all'incredulità. Diventa difficile scontrarsi con una realtà che, via via, si trasforma sempre più in verità.
Il processo di Francoforte, in realtà, fu un processo nel processo. Da una parte ci fu quello prettamente giuridico contro gli imputati, a cui, trovo giusto evidenziarlo, nel corso della narrazione, ci si rivolge o con appellativi specifici, ad esempio "la Bestia" o "il Farmacista", oppure, in una sorta di legge del contrappasso, con dei semplici numeri, proprio come avveniva per le vittime. Un voler annullare l'identità di tali figure che, agli occhi dell'opinione pubblica, sono innocui padri di famiglia, nonni e cittadini onesti e lavoratori. Dall'altra fu un processo sociale contro l'indifferenza e la negazione di un'intera nazione.
Con una scrittura fluida ed incalzante, infatti, l'autrice rimarca il profondo dissidio che connota l'opinione pubblica. Un dualismo di intenti tale per cui una parte dei tedeschi ha vissuto e continua a vivere senza esporsi, volontariamente, al proprio passato con il solo obiettivo di dimenticare, incapace di sostenere il peso delle proprie responsabilità, e un'altra parte, invece, che se ne vuole fare ampiamente carico.
Una tale presa di coscienza e di posizione è ben evidente nella stessa protagonista che, pagina dopo pagina, vive ed affronta un profondo conflitto interiore che, sull'onda del cambiamento, la spingerà verso l'evoluzione del suo stesso personaggio. È lei l'elemento preso a campione dalla Hess per tratteggiare l'episodio della metamorfosi, un vero e proprio salto verso l'emancipazione. La remissiva e ubbidiente Eva, pronta ad accettare che fossero gli uomini ad avere l'ultima parola, lascerà emergere il suo lato indomito. Con coraggio, decisione e caparbietà volterà le spalle a chi l'ha sempre sostenuta e che, indirettamente, è stato complice di un tale abominio, scegliendo autonomamente la strada da percorrere.
Con delicatezza e rispetto, in un alternarsi di voci, l'autrice scandaglia una pagina della storia del dopoguerra che è impossibile dimenticare. A parlare sono i sopravvissuti, vittime e carnefici, a cui non resta che fare i conti con quello che rimane, che siano ferite, fisiche e mentali, o profondi sensi di colpa.
Ne L'interprete si parla di cecità, omertà, vergogna, responsabilità e colpa, quella che condanna a convivere dolorosamente con un tale episodio anche i figli, i nipoti e i pronipoti di chi è sopravvissuto e di chi ha commesso il male. È una colpa che si ripercuote nel corso del tempo e, pertanto, viene spontaneo domandarsi, alla resa dei conti, chi sia il vero responsabile. Solo chi ha commesso materialmente un tale eccidio o ha semplicemente eseguito gli ordini? O anche coloro che, pur sapendo, hanno preferito mostrarsi ciechi, voltare le spalle e rendersi complici di un tale odio?
È a questo punto che la giovane protagonista entra in contatto con una realtà inimmaginabile. Josef Gabor, l'anziano polacco a cui deve fare da interprete, inizia a parlare di prigionieri asfissiati dal gas, baracche e campi di reclusione.
Turbata dall'avvenimento e completamente ignara di fatti tanto gravi appartenenti ad una delle pagine più crudeli della storia tedesca, Eva, contro il volere dei familiari e del fidanzato, accetta l'incarico di traduttrice ufficiale dal polacco, che la vedrà in prima linea al banco dei testimoni durante il processo di Francoforte.
Ha inizio così il racconto lucido ed efficace di quelle che possono essere considerate, a tutti gli effetti, delle verità disturbanti. La Hess non solo riesce a sviscerare con grande maestria delle tematiche tanto delicate, che hanno come focus principale la relazione tra i cittadini tedeschi e quanto avvenuto sotto l'egida del nazismo durante il Secondo Conflitto Mondiale, ma correda di un peso specifico i diversi sentimenti che albergano l'animo delle persone coinvolte. L'estraneità iniziale lascia il passo allo sgomento e all'incredulità. Diventa difficile scontrarsi con una realtà che, via via, si trasforma sempre più in verità.
Il processo di Francoforte, in realtà, fu un processo nel processo. Da una parte ci fu quello prettamente giuridico contro gli imputati, a cui, trovo giusto evidenziarlo, nel corso della narrazione, ci si rivolge o con appellativi specifici, ad esempio "la Bestia" o "il Farmacista", oppure, in una sorta di legge del contrappasso, con dei semplici numeri, proprio come avveniva per le vittime. Un voler annullare l'identità di tali figure che, agli occhi dell'opinione pubblica, sono innocui padri di famiglia, nonni e cittadini onesti e lavoratori. Dall'altra fu un processo sociale contro l'indifferenza e la negazione di un'intera nazione.
Con una scrittura fluida ed incalzante, infatti, l'autrice rimarca il profondo dissidio che connota l'opinione pubblica. Un dualismo di intenti tale per cui una parte dei tedeschi ha vissuto e continua a vivere senza esporsi, volontariamente, al proprio passato con il solo obiettivo di dimenticare, incapace di sostenere il peso delle proprie responsabilità, e un'altra parte, invece, che se ne vuole fare ampiamente carico.
Una tale presa di coscienza e di posizione è ben evidente nella stessa protagonista che, pagina dopo pagina, vive ed affronta un profondo conflitto interiore che, sull'onda del cambiamento, la spingerà verso l'evoluzione del suo stesso personaggio. È lei l'elemento preso a campione dalla Hess per tratteggiare l'episodio della metamorfosi, un vero e proprio salto verso l'emancipazione. La remissiva e ubbidiente Eva, pronta ad accettare che fossero gli uomini ad avere l'ultima parola, lascerà emergere il suo lato indomito. Con coraggio, decisione e caparbietà volterà le spalle a chi l'ha sempre sostenuta e che, indirettamente, è stato complice di un tale abominio, scegliendo autonomamente la strada da percorrere.
Con delicatezza e rispetto, in un alternarsi di voci, l'autrice scandaglia una pagina della storia del dopoguerra che è impossibile dimenticare. A parlare sono i sopravvissuti, vittime e carnefici, a cui non resta che fare i conti con quello che rimane, che siano ferite, fisiche e mentali, o profondi sensi di colpa.
Ne L'interprete si parla di cecità, omertà, vergogna, responsabilità e colpa, quella che condanna a convivere dolorosamente con un tale episodio anche i figli, i nipoti e i pronipoti di chi è sopravvissuto e di chi ha commesso il male. È una colpa che si ripercuote nel corso del tempo e, pertanto, viene spontaneo domandarsi, alla resa dei conti, chi sia il vero responsabile. Solo chi ha commesso materialmente un tale eccidio o ha semplicemente eseguito gli ordini? O anche coloro che, pur sapendo, hanno preferito mostrarsi ciechi, voltare le spalle e rendersi complici di un tale odio?
Neri Pozza, forse, troppo impegnato e pesante per questo periodo. O così mi sono detto, per rimandare l'acquisto. :)
RispondiEliminaAnche a me ispirava davvero molto! Davvero una bella recensione ☺️☺️
RispondiEliminache bella recensione Anna, me lo segno per quando sarà il momento giusto
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